Pubblicato da Dedalo, Bari, 1974.

È tempo di andare oltre la connotazione raccapricciata della “sopravvivenza”; occorre superare la fase esorcistica affinché si rendano visibili i lineamenti della vera guerra. Non si tratta di revocare il senso dell’orrore che la critica radicale ha indicato nella “sopravvivenza” come non-vissuto, organizzazione delle apparenze, irrealtà quotidiana: si tratta al contrario di assumere questa conoscenza per orrore quale punto di partenza della vera guerra. In questo senso, la lotta per la sopravvivenza, la fatica di non soccombere fisicamente, deve saper attraversare il quotidiano e i suoi deserti senza cedere ai luoghi comuni dello smarrimento esistenziale. Ognuno che abbia tentato di conquistare immediatamente e isolatamente una condizione di “vita” quale superamento definitorio e irreversibile dell’inessenza, se non vi ha lasciato la pelle ha imparato di quanto veleno si caricasse questa illusione, e in quali modi la presunzione di “liberarsi” divenga l’arma prediletta dal nemico per convertire in debolezza ogni luogo della forza e dell’intenzione.
In “Apocalisse e rivoluzione” Gianni Collu ed io delineammo i termini essenziali di una critica della “politica” che mentre individuava nella “politica” le strutture reificate dell’ideologia, introduceva a un ampliamento dell’ottica radicale diretto ad aprire il campo della critica a una dimensione totale dello scontro in atto, definito come il processo della rivoluzione “biologica”. Si trattava, come indicammo, di uno scritto d’occasione, sollecitato dal “Rapporto del M.I.T.” (“I limiti dello sviluppo”, Mondadori), in cui le scienze più “nuove” del capitale anticipavano mistificatoriamente la partitura di quella crisi energetica che poco più tardi avrebbe occupato la “scena della storia”. In questo “Manuale di sopravvivenza” il discorso procede, per parte mia, lungo una linea che pur nel distacco necessario da quella occasione intende ribadire una continuità coerente non solo nei confronti del pamphlet e dei suoi temi, ma anche in rapporto a quanto, nell’intorno a noi e nel suo prima, in scritti noti e in ciclostilati rimasti semi-clandestini, è emerso di criticamente radicale. Anche questo scritto è a breve termine. L’occasione è ciò che mi auguro il lettore trovi in sé, il nesso che accomuna la sua condizione e la sua rivolta allo “stato delle cose” emergente nella generalità.
Gianni Emilio Simonetti mi ha fruttuosamente aiutato a definire la struttura del libro e a rivedere il manoscritto, nel corso di una rilettura critica discussa insieme. Molti dei temi trattati in questo scritto sviluppano d’altro canto i contributi che mi vennero dall’amicizia e dalla frequentazione di Gianni Collu, pur se motivi contingenti hanno impedito, durante la redazione del testo, un confronto critico e un apporto diretto. Rinnovo qui l’impegno ad ampliare e ad approfondire il discorso in quella “Critica dell’utopia capitale” alla quale da tempo lavoro, e che nelle condizioni non facilitate in cui procedo, mi si profila come un obiettivo non ancora prossimo.
Milano, gennaio 1974